Tarscen (Tarxien) è l’ultima meta di questo viaggio sull’isola di Malta.
Sono giunto in città principalmente per vedere i templi megalitici, tra i più antichi del mondo, risalenti al 3600 a.C. . Il sito archeologico fu scoperto nel 1913 grazie alle segnalazioni di alcuni agricoltori locali e, a partire da questa data, cominciarono gli scavi che riportarono alla luce degli enormi blocchi.
È molto difficile capire quali erano le finalità di questo complesso di templi. Sicuramente, in essi, si svolgevano rituali con sacrifici animali, essendo stati ritrovati sull’altare dei coltelli di selce e resti ossei. Così come mi ha colpito la perfetta simmetria della disposizione di alcuni di questi massi.
Dopo la visita faccio un giro in città. Giunto a Tarscen mi sono accorto di aver percorso a piedi, negli ultimi giorni, oltre 60 km e ora mi sento anche un po’ stanco. Mi sono quindi limitato a fare un giro lungo la “gran via” fino alla Chiesa dedicata all’Annunciazione di Nostra Signora, patrona della città.
È già primo pomeriggio ma ho la chiusura del gate prevista per le 20.00. Mi sono ricordato che alle 16:00 scendono in campo l’Argentina e la Francia per la finale della Coppa del Mondo di calcio. Girovagando mi sono completamente dimenticato! Avendo ancora qualche ora ed evitando di compiere uno spostamento in più in un’altra località, mi pare la cosa più saggia cercare un pub o un bar dove vedere la partita, bere un paio di birre e poi tornare in aeroporto con tutta calma.
Torno sulla via principale e continuo a camminare. Davanti ad un bar butto un occhio dentro per vedere se ci sono tavolini e schermi, faccio la stessa cosa davanti ad un pub e così via con un kebabbaro e, ancora, in un altro bar. Nulla di nulla. È vero che non mi trovo a La Valletta e che Malta non vanta certo questi straordinari risultati nel rettangolo verde, ma è possibile che i cittadini di Tarscen siano completamente disinteressati alla finale della coppa del mondo?
Manca mezz’ora all’inizio della partita e devo trovare una soluzione alla svelta.
Fermo il primo che mi pare possa darmi un feedback, che non abbia l’aria del turista e che magari conosca la zona. Non faccio in tempo a finire di ragionare sul mio piano che da un angolo spunta questo ragazzo sulla ventina, con una maglietta sportiva addosso che lì per lì non avevo riconosciuto essere la camiseta del portiere del Club Atlético Newell’s Old Boys, la squadra sportiva di Rosario.
Lo fermo e gli chiedo indicazioni e se conosce un pub dove poter vedere la partita. Gli dico che sono “disperato” perché ho girato la città in lungo e in largo ma non ho trovato nulla.
“Ma vieni dall’Italia?”, mi dice in un italiano pressoché perfetto, con una lievissima inflessione sudamericana.
“Ah bene, parli italiano. Sì, sono partito da Roma”, gli dico.
“Io sono argentino ma ho parte della mia famiglia italiana! Senti, sto pensando dove posso mandarti ma non mi viene in mente nulla. Ma poi… che caspita ci fai qui a Tarscen a Dicembre? Dove stai andando?”, chiede.
“Guarda, sto girando l’isola zaino in spalla, non so nemmeno perché sono venuto qui. È la mia ultima tappa poi stasera vado in aeroporto perché rientro a Roma”, gli rispondo.
Lui mi squadra dalla testa ai piedi, ci riflette ancora un attimo e poi mi dice: “Che storia! Senti, facciamo così. Io sono molto tranquillo, vivo a Malta con alcuni amici italiani e stasera vediamo la partita insieme a casa mia. Qui in giro non troverai nulla. Se ti va unisciti a noi”.
Io, come lui, lo squadro dalla testa ai piedi e poi gli rispondo: “Va bene, andiamo”. Mi fermo a prendere qualche birra per ringraziarlo dell’ospitalità e lui sta già facendo una chiamata, probabilmente alla sua compagna. Le dice che ha incontrato Guido, “un viaggiatore” e che stasera guardiamo la partita tutti insieme: “Sì lo so che è assurdo ma vedrai che ci divertiamo!”.
In questo appartamento a Tarscen, sette ragazzi si sono riuniti a guardare la finale del mondiale, l’epilogo della quale non serve certamente che io lo riporti qui. Al gol di Gonzalo Montiel, che restituisce il trofeo all’Argentina dopo 36 anni, tutti si buttano sull’unico argentino della casa che si copre il volto con il Sol de Mayo della bandiera nazionale. Ora quel sole sta splendendo per i 47 milioni di cittadini argentini tra i quali tanti nostri connazionali, fratelli di sangue che sono andati dall’altra parte del mondo in cerca di un futuro migliore.
Guardo l’orologio: non posso vedere neppure i festeggiamenti. Il gate chiude tra meno di un’ora e non sono sicuro di raggiungere in tempo l’aeroporto, di passare i controlli e imbarcarmi.
Mi giro e gli dico ironico: “Sai che quando hai visto la tua nazionale vincere un mondiale puoi prendere con più leggerezza le cose negative che ti accadono nella vita? Ora però tocca a me segnare il rigore e riuscire a prendere l’aereo!”.
Ci diamo la mano e me la stringe, ubriaco di felicità, come se io fossi un giocatore dell’albiceleste. Gli dico: “È incredibile il numero di variabili che mi hanno portato in quel punto della piazza di Tarscen, a quell’ora, dopo tre giorni a girovagare per Malta. Era proprio destino che fossimo insieme e vedessimo vincere l’Argentina!”.
In aeroporto, dopo aver passato i controlli ed essere arrivato nel terminal in perfetto orario, mi siedo un attimo per terra e riprendo fiato. Con gli occhi fissi sullo schermo delle partenze, ebbro per questo inatteso incontro, penso che spesso smettiamo di vivere la nostra vita perché ci poniamo delle domande esistenziali a cui non riusciremo mai a dare una risposta. A volte perché sono domande troppo premature rispetto al momento in cui ce le poniamo; a volte perché, banalmente, il nostro tempo è troppo breve per una piena e completa comprensione dell’esistenza. E non ci resta che accettare questa nostra condizione misera ma umana, andando incontro al mondo con gratitudine ed il cuore aperto e disponibile.
Ora sorvolo Roma.
La osservo dal finestrino, placida e tranquilla. Tutti i balconi delle case della capitale sono illuminati ad intermittenza dalle luci natalizie. È notte ma in lontananza si vede ancora il mare che richiama un ultimo ricordo.
Ero su una spiaggetta di Malta, sdraiato a prendere il sole di mezzogiorno senza pensare a niente. Raccolgo da terra una conchiglia e la osservo, lasciandomi incantare dalla perfezione geometrica delle linee. Quella precisione è ordinata da regole universali attraverso le quali tutti gli dèi si manifestano, consegnandoci tracce e segni da seguire come in un enigma. L’ho portata all’orecchio per comprendere che l’eternità si manifesta in tutte le cose. Ascoltando in silenzio, scopro che il guscio custodiva dentro di sé, come fosse uno scrigno, i versi di un poeta dell’Idaho che ora mi accompagnano:
“Rendi forti i vecchi Sogni
perché questo nostro mondo non perda coraggio”
Foto di Giuseppe Famiani su Unsplash