C’è ancora qualcuno?

Sono mesi che non scrivo più nulla in questo blog.

C’è ancora qualcuno che, di tanto in tanto, torna da queste parti? Non vi ho abbandonati. Come si suol dire: vivo e lotto insieme a voi.

Nei giorni divenuti settimane e poi mesi avrei voluto fermarmi a riflettere per mettere qualche pensiero nero su bianco ma ho sempre desistito, come in attesa di qualcosa che mi pareva imminente, finendo con il lasciarmi alle spalle il mese di agosto con i suoi giorni torridi in una delle estati più estenuanti degli ultimi anni.

Certo, la stagione bella termina ufficialmente a fine mese ma, si sa, Roma a settembre riprende vita, in attesa della prossima finestra utile a fuggire di nuovo da una città esausta. Sono tornati tutti: lo testimoniano la sfilza di panni stesi nei cortili di Monteverde, i clacson delle auto su Viale Marconi, i lavavetri che ricompaiono ai semafori, il dispiegamento inusuale di forze dell’ordine che, agli incroci, si raccontano delle ferie appena concluse.

Aspetto il verde per svoltare a sinistra e non mi accorgo di aver poggiato la tempia alle nocche della mano. Intorno, nei propri abitacoli, altri umani come me: stiamo aspettando tutti.

Aspettiamo, aspettiamo, aspettiamo… ma cosa? In passato, a meno di non finire nel bel mezzo di un conflitto nucleare tra URSS e USA, sventrati da qualche bomba in una stazione o vittime del terrorismo di Stato, il futuro delle generazioni che ci hanno preceduto era un campo molto vasto in cui splendeva quasi sempre un bel sole caldo.

Al netto di tutte le possibili difficoltà, in un certo senso il futuro era tuo perché dipendeva dal tuo agire nel mondo: se lavorerai poco, guadagnerai poco; se lavorerai di più, guadagnerai di più; se vorrai, potrai sposarti e metter su famiglia, magari comprare una casa grazie ai rendimenti dei BTP a 20 anni. Oggi è usuale sentirsi in un frullatore mentre cerchiamo di smarcare gli impegni in agenda.

A Roma, poi, si ha la netta impressione che il passato, il presente e il futuro coesistano nello stesso momento, in una città tutta scombicchierata e da rifare da capo. È la magia della capitale ma anche, ovviamente, il suo dramma. Vorremmo poter tutti saltare a dopodomani per vedere che succede e cosa ci aspetta lì, non è vero?

C’è una tizia in una Sandero blu incolonnata proprio di fianco a me, si sta truccando e fa di “no” con la mano al nordafricano che le vuole pulire i vetri. In un vecchio saggio di Marc Augé, l’antropologo parlava della “cospirazione collettiva” di rendere il futuro un luogo inabitabile, condannando intere generazioni all’eterno presente. È la cospirazione dei padri che un tempo erano animati dal motto ribellista “No future” dei Sex Pistols e oggi lo hanno preso alla lettera, rendendolo un vero e proprio programma politico.

È la mattina del 3 settembre, le temperature finalmente si stanno abbassando e il semaforo si fa verde. Riparte la Sandero. Riparto io. Ripartiamo tutti e, tranne qualche sporadico punto fermo a cui disperatamente ci aggrappiamo, ho l’impressione che non abbiamo la più pallida idea di dove stiamo andando.

Spero che almeno voi sappiate quello che state facendo.

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